La minaccia è globale: l'agricoltura deve essere ripensata per soddisfare i bisogni di una popolazione mondiale in costante crescita e diventare allo stesso tempo uno strumento di riscatto sociale ed economico nel ripetto dell'ambiente. Ci sarà bisogno di nuove parole dal sapore antico: prossimità, stagionalità, sovranità e sicurezza alimentari. Ma, soprattutto, l'uomo dovrà imparare a comportarsi da ospite e custode del pianeta.
Di tutto questo e tanto altro ci parla nel suo libro inchiesta sull'agricoltura Davide Ciccarese, Segretario di Acli Terra Lombardia (associazione professionale di imprenditori agricoli) e Presidente dell'associazione Nostrale (progetto di promozione del consumo consapevole e di progetti di sviluppo agricolo sostenibile).
Copertina del libro |
Numeri alla mano, viene evidenziato come il sistema agricolo attuale sia destinato a collassare su se stesso, dal momento in cui la popolazione mondiale continua ad aumentare, parallelamente alla continua diminuzione delle superfici coltivabili disponibili: la terra, irrimediabilmente ammalata a causa dell'uso sconsiderato di pesticidi e prodotti chimici velenosi, è sempre più soggetta ai fenomeni di erosione e desertificazione, e perde dunque la sua fertilità, anche a causa delle monocolture intensive che limitano la biodiversità e consumano i terreni impoverendoli sempre maggiormente.
E' inoltre sempre minore la terra a disposizione a causa della inarrestabile cementificazione ed espansione delle città: le campagne, che un tempo formavano un tuttuno con i centri abitati, sono adesso relegate in confini sempre più stretti dove è necessario produrre sempre di più. Le città, d'altra parte, formano delle isole di cemento che devono importare tutte le risorse dall'esterno essendo ben lontane dall'essere autosufficienti. Si innesca così il ciclo dei trasporti in entrata (di risorse) ed in uscita (di rifiuti) con un considerevole consumo di energia globale.
Un intero capitolo è dedicato alla Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che è forse la maggiore responsabile di tutti questi problemi a causa delle sue politiche di vendita.
La GDO infatti basa i propri affari puntando tutto su una politica al ribasso dei prezzi e sulla quantità a discapito della qualità. I produttori (i contadini e gli allevatori) vengono pagati talmente poco che in pratica per loro si tratta solo di un rimborso spese. I produttori sono costretti ad accettare queste condizioni ed a volte si indebitano pur di non essere esclusi dal sistema. Devono quindi a loro volta risparmiare sulle proprie risorse e produrre il più possibile in tempi brevi. Per questi motivi i campi non vengono più messi a riposo, le monocolture vengono preferite alla colture diversificate, per spingere al massimo la produttività vengono impiegati fertilizzanti e pesticidi. Il risultato è costituito da verdure dall'aspetto perfetto, ma con scarse qualità organolettiche, mentre i campi si impoveriscono sempre di più. Ma questo alla GDO non interessa: se un campo smette di essere produttivo se ne sceglie un altro, o addirittura se ne scegli un altro solo perchè più economico e niente più viene prodotto e consumato a livello locale, ma tutto diventa globale: le arance, ad esempio, vengono acquistate a prezzi bassi dalla Spagna, mentre le eccellenti qualità di agrumi siculi vengono lasciate marcire sui campi perchè troppo costose. Nuove realtà produttive vengono scelte in Ungheria e Romania, solo perchè più economiche ed i prodotti fanno enormi giri in tutto il mondo prima di raggiungere le nostre tavole.
Si raggiungono paradossi incredibili di prodotti locali che vengno letteralmente buttati per lasciare il posto a importazioni di dubbia qualità, ma dal sicuro interesse economico: le GDO hanno un enorme guadagno sui prodotti venduti a scapito dei contadini che invece sono sempre più sull'orlo del fallimento (e non manca la piaga del lavoro nero).
Lo scenario è dunque inquietante ed insostenibile e l'unico modello di sviluppo possibile diventa a questo punto una fase di regressione in cui piccoli spazi agricoli vengono recuperati a livello locale a scopo autoproduttivo. Accorciare le filiere e ritrovare il senso dell'azienda agricola che era in grado da sola di produrre e riciclare gli scarti, dando alla natura il tempo di assorbire, crescere e produrre senza forzature, senza agenti inquinanti esterni, permettendo il riposo e la rotazione delle colture, sfruttando le energie a disposizione. Non è una semplice lode ad un ritorno al passato, ma è un uso ragionato delle risorse ed i macchinari a disposizione, affinchè si riesca a produrre il giusto, per tutti, in maniera ecosostenibile.
Ma il sistema non può muoversi da solo. Come sempre una grossa spinta la può dare il consumatore: informandosi, scegliendo i prodotti che acquista, prediligendo il cibo locale e di qualità, facendo fallire la politica della GDO per un futuro più equo e pulito per tutti.
Come ho spesso concluso molti dei miei post, il mio augurio è: Buona spesa a tutti !
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