lunedì 30 dicembre 2013

Sperimentazione animale

Nel momento in cui scrivo è il 30 dicembre del 2013 e sono giorni in cui imperversa una polemica riguardo la sperimentazione animale. Tale polemica è scoppiata a seguito degli auguri di morte ed altri insulti ricevuti da Caterina Simonsen da parte di presunti animalisti. Caterina è una ragazza che lotta contro una malattia genetica (di cui però non si riesce a trovare alcuna notizia) e che ad inizio dicembre si era espressa a favore della sperimentazione animale e di Telethon, una fondazione che finanzia ricerca scientifica focalizzata su malattie genetiche rare. Sulla stessa Telethon si era invece negativamente espresso il Presidente del Partito Animalista Europeo Stefano Fuccelli che esortava a non finanziare la fondazione, la quale veniva accusata di pilotare la ricerca in base agli interessi delle lobby farmaceutiche ed anche di aver avuto influenza sul Ministero della Salute per la composizione della commissione scientifica responsabile della bocciatura del metodo Stamina, un tipo di cura di dubbia efficacia e privo di dimostrata validità scientifica, basato sull'uso di cellule staminali.
Caterina aveva difeso la sperimentazione animale tramite un video lanciato su Facebook, ed è proprio sul social network che ha ricevuto gli auguri di morte da parte di animalisti che preferirebbero vedere morire gli esseri umani piuttosto che gli animali costretti a fare da cavie nei laboratori di ricerca sperimentale.

Si tratta di una storia tanto complessa quanto facile da strumentalizzare a seconda degli interessi in gioco, basti pensare che a gennaio del 2014 si discuterà nel Parlamento italiano a proposito della direttiva europea sulla sperimentazione animale. Vorrei dunque estraniarmi da questi discorsi, dubitando fortemente che ci siano veri animalisti dietro le parole offensive rivolte alla ragazza, ma pensando piuttosto che dietro quelle parole ci siano persone che vogliono discreditare gli animalisti, facendoli apparire come folli esaltati alla stregua di nazisti.

Vorrei invece soffermarmi sullo scalpore e sulla forza mediatica di questa storia, che fa riflettere nel momento in cui si pensa ai numeri.
Già, perchè per migliaia di animali destinati alla ricerca scientifica, ve ne sono miliardi destinati invece al macello a scopo alimentare.

Cavie da Laboratorio
Cavie in laboratorio

allevamento intensivo
Polli in un allevamento intensivo

E se per gli animali destinati alla ricerca sono molto rigidi i regolamenti ed i comitati etici che servono a farli rispettare, non mi risulta che si facciano grandi sforzi per evitare la sofferenza di tutti quegli animali che vivono negli allevamenti intensivi, a volte senza neanche vedere la luce del sole, trattati con farmaci ed antibiotici per evitare le epidemie, trattati con ormoni per aumentarne velocemente le dimensioni e fare di loro delle macchina produttive, ammassati in spazi ristretti e costretti a mangiare talvolta farine anche di origine animale.
Se veramente stanno a cuore le vite degli animali come mai un episodio come quello di Caterina scatena tante reazioni (che siano pro o contro la ricerca) e sugli allevamenti cala invece un sipario di silenzio omertoso?
Come mai migliaia di animali usati per la ricerca fanno più notizia di miliardi di animali usati per scopi alimentari?

Detto ciò, mi chiedo se sia effettivamente giusto utilizzare gli animali per la ricerca scientifica. Al riguardo assumo una posizione intermedia. Sono infatti convinto che la ricerca biomedica sia essenziale per la nostra società e credo che una parte di essa debba per forza di cose sperimentare sugli animali quei prodotti che andranno poi trasferiti all'essere umano. I comitati etici, come dicevo, sono molto rigidi ed esigono trattamenti adeguati per gli animali utilizzati nei laboratori.
Allo stesso tempo, sono convinto che una notevole fetta di studi e di ricerche attualmente condotti nei laboratori, non siano di qualità così alta e non abbiano risultati così evidenti, ma soprattutto non abbiano un riscontro pratico di fondamentale importanza da richiedere una sperimentazione animale. Il problema è che la ricerca ha bisogno di soldi e coloro che sono alla ricerca di finanziamenti, per ottenere fondi, tendono ad inserire modelli animali nei loro studi, in modo da aumentare il rilievo della loro ricerca ed essere finanziati. Ma una ricerca che non sia ai massimi livelli, rimane a livelli inferiori alla qualità media richiesta, nonostante vengano inseriti modelli animali. Una ricerca che non sia al top, non avrà mai risultati al top, ed usare animali per questo tipo di studi è solo una perdita di tempo e di risorse, ma soprattutto è una perdita di vite sia animali che umane, visto che nessuno, alla fine della storia, beneficerà di questa ricerca.

Alla fine della storia io dico si alla ricerca, ma no alla sperimentazione inutile.
E, se ci riesco, proverò a diminuire il consumo di carne....


sabato 14 dicembre 2013

Pandoro ecosostenibile

Entro in un qualsiasi supermercato ed osservo intere file di panettoni e pandori, nonchè centinaia di dolci vari che sono stati creati nel tempo ad imitazione degli stessi per soddisfare qualsiasi tipo di gusto: panettoni senza canditi, pandori con creme di limoncello, panettoni glassati e con le mandorle (cioè colombe pasquali a forma di panettone), tronchetti di Natale al cioccolato e chi più ne ha più ne metta.

pandoro al supermercato
Natale al supermercato
Mi soffermo su un pandoro tradizionale e ne leggo gli ingredienti: farina, uova, burro, zucchero, lievito, ed emulsionanti (mono e digliceridi degli acidi grassi). Osservo il prezzo totale del pandoro: 3,50 Euro.
Mi chiedo: quanto costerebbe farlo in casa ? Dovrei comprare gli ingredienti ossia uova, burro, zucchero e farina ed aggiungere al loro costo quello del consumo elettrico per il forno. Credo sia impossibile spendere meno di 5-6 euro, ed io risparmierei su manodopera, trasporto, confezionamento e pubblicità, tutte spese in più che si ritrova a dover affrontare la ditta produttrice.

Non c'è bisogno di essere esperti matematici per capire che i conti non tornano: come è possibile che il pandoro venduto al supermercato costi così poco? Addirittura meno dei suoi stessi ingredienti acquistati singolarmente ? 

La conferma di questo paradosso matematico la si ottiene andando in pasticceria dove un pandoro artigianale costa in genere non meno di 20 euro.
Le cose sono due: o le ditte produttrici sono così generose da portare i loro conti in rosso pur di rendere felici i consumatori, oppure tagliano i costi di produzione in modo da trarre un proficuo guadagno anche su 3,50 Euro di prodotto. Mi sembra più probabile la seconda opzione. Ma come fanno a tagliare i costi di produzione?

Riducono i costi sulla pubblicità? Non mi sembra proprio, anzi credo che i loro costi primari siano quelli legati alla sponsorizzazione dei prodotti.
Riducono i costi sul trasporto? Improbabile, visti i continui aumenti sui prezzi del carburante e visto che gli stessi prodotti si trovano sugli scaffali di tutti i supermercati di tutta Italia (e quindi non possono essere a chilometro zero)
Riducono i costi sulla manodopera ? Possibile. Come? Forse aumentando i macchinari, o forse pagando meno i dipendenti, forse pagandoli in nero, forse assumendo extracomunitari che non vengono messi in regola, o forse spostando la produzione all'estero dove dipendenti e macchinari costano meno, chissà, sono solo ipotesi.
Riducono i costi sulla qualità dei prodotti? Molto probabile. Io credo usino farine scadenti ed il burro e le uova non credo provengano da animali allevati secondo i criteri degli allevamenti biologici.

Dunque se acquisto un pandoro al supermercato è molto probabile che io stia finanziando una ditta che usa prodotti scadenti o provenienti da animali che vivono in allevamenti intensivi in condizioni igieniche precarie ed in condizioni di vita stressanti (per un video di approfondimento sugli allevamenti intensivi clicca qui) o che forse sottopaga i suoi dipendenti o magari li paga in nero. Chissà. Sono tutte ipotesi a cui sono arrivato semplicemente ragionando su un prezzo, senza vedere inchieste giornalistiche di alcun tipo.

Di sicuro se acquisto un pandoro al supermercato mi ritrovo in casa, oltre al pandoro, una scatola di cartone, una busta di plastica ed una più piccola bustina di carta (quella dello zucchero a velo) che dovrò buttare. Immaginiamo 56 milioni di italiani: io immagino circa 56 milioni di scatole di cartone, 56 milioni di buste di plastica e 56 milioni di bustine di carta da smaltire. Tutto questo immaginando un pandoro a testa: credo sia una media ragionevole visto che in alcune famiglie se ne comprerà solo uno, in altre ci sarà un surplus di acquisti, anche considerando i vari altri prodotti dolciari compresi mini-panettoni e mini pandori (con i loro mini-imballaggi).

Di sicuro infine compro un prodotto dai dubbi effetti salutistici (vedi la presenza di mono e digliceridi degli acidi grassi), anche perchè mi chiedo come faccia un prodotto dolciario da forno ad essere mangiabile anche se viene aperto un anno dopo l'acquisto (vedi date di scadenza riportate sulle confezioni)...conservanti?

Ecco perchè quest'anno ho deciso di fare io il mio pandoro natalizio usando la farina che scelgo io, le uova che dico io ed il burro che trovo dal mio venditore di latticini di fiducia. Per conservarlo userò una busta di plastica riciclata da un vecchio pandoro industriale già mangiato e digerito durante lo scorso natale.

pandoro fatto in casa
Pandoro fatto in casa

In questo modo ridurrò l'impatto ambientale riducendo i chilometri di trasporto degli ingredienti, risparmiando sugli imballaggi e scegliendo con cura gli ingredienti. Inoltre passerò un pomeriggio alternativo tra farina, burro, uova e matterello, lasciando perdere il centro commerciale preso d'assalto da migliaia di persone colte da frenesia di acquisto natalizio, tutti alla ricerca del prodotto superscontato, a chilometro infinito e a qualità zero.

E voi cosa avete deciso?

Buon Natale

PS: per chi volesse una ricetta per realizzare un pandoro fatto in casa, io ho seguito quella delle sorelle Simili riportata in questo link.

mercoledì 20 novembre 2013

Olio di palma ? No, grazie

Circa un quarto delle foreste Indonesiane è andato distrutto tra il 2009 ed il 2011.
Un dato di una gravità inaudita, dato che comporta una delle più pesanti perdite di biodiversità mondiale, associate ad un'elevato rilascio di gas serra.
Il motivo della deforestazione è tanto inquietante quanto lo scoprire la nostra parte di responsabilità in questa storia. La foresta infatti viene distrutta per lasciare spazio ad enormi monocolture di palma da olio, dalla quale si ricava un tipo di olio vegetale che viene utilizzato in cosmesi, come anche nell'industria alimentare. Noi, inconsapevoli acquirenti di prodotti contenenti olio di palma, abbiamo dunque contribuito a questa enorme perdita ecologica, anche comprando, a volte, prodotti biologici. L'olio di palma è infatti presente in moltissimi prodotti biologici dai crackers alle fette biscottate, dai biscotti alle merendine. 

Cambiare è possibile?
La risposta è nelle etichette dei prodotti che acquistiamo. Per evitare di acquistare prodotti fatti con olio di palma, è necessario fare attenzione sia alle confezioni ove la sua presenza è chiaramente esplicitata, sia alle confezioni sulle quali campeggia una più generica scritta: oli vegetali (o grassi vegetali). Spesso infatti l'olio di palma si cela proprio dietro tale scritta.

Grassi vegetali
Olio vegetale, grassi vegetali o olio vegetale di palma sono le possibili diciture sulle etichette che indicano la presenza di olio di palma nei prodotti


Due link per approfondire questo argomento qui e qui

giovedì 7 novembre 2013

Valore e prezzo del cibo

Sto leggendo con estremo interesse il libro "Terra Madre" di Carlo Petrini, che affronta il tema della ecosostenibilità a tavola. Sono fortemente convinto che la questione alimentare sia di una fondamentale importanza per la salvaguardia del pianeta ed è per questo che suggerisco la lettura del libro.

Il libro di Carlo Petrini
Il libro di Terra Madre (Slow Food Editore)


Tra i brani più interessanti  riporto quelli che ci indicano come non farci mangiare dal cibo: per capire che non si tratta di un paradosso, vi invito a leggere di seguito le parole dell'autore:

"Un luogo comune che ha trionfato con il trionfare del consumismo, è il pregiudizio che riguarda il prezzo del cibo: ciò che mangiamo deve costare poco, il meno possibile. E' naturale che all'interno di un mercato si prediliga il prodotto che costa meno, ma lo si dovrebbe fare a parità di qualità, o potendo comunque scegliere un livello di qualità adatto alle proprie esigenze. Tuttavia per il cibo non è più così: deve costare poco e basta. Sono sufficienti pochi centesimi di aumento del prezzo di verdure o pasta, per riempire i giornali di reazioni indignate. La gente però non protesta allo stesso modo se i conti correnti in banca o le tariffe telefoniche sono più care, o se una chiamata all'antennista ci fa spendere l'equivalente di una cena per due persone al ristorante.
Questo è il risultato prodotto dalla trasformazione del cibo in un bene di consumo spogliato di tutti i suoi valori materiali, culturali e spirituali. Il denaro ha soppiantato nettamente altri valori per diventare l'ambito segreto della felicità.
Così non si produce più il cibo per mangiarlo, ma per venderlo. Il prezzo diventa la principale, se non l'unica, discriminante per la scelta.
Sottoporre il cibo a queste leggi crea un'omologazione dei prodotti che tende a ridurre la biodiversità e favorisce le monocolture dannose per l'ambiente.
La totale mercificazione del cibo è il segno della degenerazione di valori nella società. E' necessario capire che ci sono pratiche di valore, che magari non sono convenienti in termini monetari - come fare la conserva in casa - perchè ci costerebbe sicuramente meno comprarla già fatta - ma che ci fanno guadagnare dal punto di vista della convivialità, della gratificazione personale, del servizio alla comunità, della salvaguardia dell'ambiente, in una parola: del benessere.
In nome della religione del denaro abbiamo creato immani disastri: il cibo spogliato del suo significato autentico finisce con il mangiarci. Privato di valori culturali, sociali, ambientali, il cibo da oggetto di attenzione, di cura, di orgoglio - da vera risorsa - diventa un mostro che devasta le campagne dal punto di vista sociale ed ecologico, che crea iniquità ovunque. Lo si può sprecare con noncuranza e ci lascia infine soli nell'incertezza.
[...]
L'industrializzazione spinta del settore agroalimentare relega la qualità in secondo piano rispetto a quantità, produttività, omogeneizzazione dei prodotti e serialità spinta. Ma la natura è il contrario di tutto questo. La natura è complessità, indeterminatezza, diversità, multifunzionalità.
Negli ultimi 100 anni c'è stata una gravissima riduzione della biodiversità a favore dell'omologazione.
Negli ultimi anni l'uso di fertilizzanti chimici e di pesticidi è aumentato in maniera esponenziale. Questi prodotti, estranei al ciclo naturale, a lungo andare, compromettono la fertilità dei suoli fino ad ucciderli: il terreno è una cosa viva e noi lo stiamo letteralmente ammazzando. Crediamo di pagare poco il cibo, ma paghiamo un prezzo caro e occulto, sia in termini ecologici, per la capacità futura della Terra di produrre cibo, sia per la qualità della nostra vita e della nostra salute e anche nei confronti delle generazioni future. Il prezzo basso del cibo non soltanto impoverisce il suo valore, ma nasconde dentro di sè tutto ciò che stiamo facendo alla Terra.
Prima o poi qualcuno dovrà pagare e alla fine saranno proprio i "consumatori", convinti oggi di fare un affare spendendo poco per mangiare."

Biscotti allo zenzero felisiani

Propongo oggi una ricetta sperimentata da Marco, un amico già apparso da queste parti quando si parlava del quartiere ecosostenibile di Stoccolma Hammarby

Essendo un appassionato di Stoccolma e di Svezia non poteva che proporre una ricetta similsvedese (i biscotti della sua ricetta ricordano infatti i pepparkakor scandinavi) riadattata però ai gusti italiani.


Ingredienti

Farina 00 :                     200 gr
Zucchero:                      100 gr
Burro:                           100 gr
Uova:                             1
Lievito vanigliato:           1/2 bustina 
Zenzero in polvere:           1 cucchiaino 
Cannella in polvere:        1/2 cucchiaino

Procedimento

  • Mescolare farina, uovo, zucchero, lievito, cannella e zenzero e amalgamare bene
  • Aggiungere il burro ammorbidito
  • Aggiungere farina finchè l'impasto non risulti più appiccicoso
  • Fare una palla con l'impasto e far riposare in frigo per 30 minuti
  • Stendere la pasta dello spessore di un dito
  • Ricavare le forme dei biscotti preferite
  • Infornare a 160° per 20 minuti (forno non ventilato)



pepparkakor
Biscotti allo zenzero felisiani
Buona merenda a tutti !

venerdì 18 ottobre 2013

Adesso Pasta !

Come riconoscere una pasta di qualità da una pasta scadente? E' facile, basta seguire alcune semplici regole.

Uno dei piatti che ha reso celebre la cucina italiana nel mondo è, senza ombra di dubbio, la pasta. Tanto è vero che, su quattro piatti di pasta mangiati nel mondo, uno è fatto con pasta italiana. In Europa sono addirittura 3 su 4 i piatti di pasta fatti con pasta italiana.
Non è difficile dunque immaginare che, per soddisfare una richiesta mondiale così elevata, la piccola Italia debba produrre enormi quantitativi di pasta. Ed è altrettanto facile immaginare come la produzione di enormi quantità di pasta non possa che andare a svantaggio della qualità della stessa.
Questo crea delle enormi differenze qualitative tra una pasta prodotta industrialmente e una pasta prodotta in maniera artigianale seguendo le regole della natura, cioè avendo rispetto della terra sulla quale viene coltivato il grano e in accordo con i tempi che la natura stessa impone.
Riconoscere una buona pasta artigianale è semplice se si considerano i seguenti punti:



1) La materia prima: solo un grano coltivato secondo i principi dell'agricoltura biologica garantisce la ricchezza di proprietà nutritive ed il sapore intenso della pasta artigianale.
2) La macinazione: la farina migliore è quella macinata lentamente e a freddo nei mulini a pietra. I moderni mulini a cilindri infatti hanno rese maggiori, ma impoveriscono le farine a causa dell'eccessiva raffinazione e del surriscaldamento dovuto all'alta velocità di macinazione.
3) L'impasto: la lavorazione deve essere lenta e l'acqua aggiunta nell' impasto deve essere fredda per garantire una maggiore dolcezza al prodotto finito
4) La trafilatura: la pasta può essere trafilata al bronzo o al teflon. E' facile accorgersi della differenza in quanto la trafilatura al bronzo conferisce alla pasta una superficie ruvida perfetta per trattenere il sugo, mentre la trafilatura al teflon, permettendo di spingere l'impasto ad alte pressioni dà una resa maggiore, ma lascia la superficie della pasta del tutto liscia al tatto.
5) L'essiccazione: la pasta artigianale viene essiccata a basse temperature (inferiori ai 45°C) e lentamente (in circa 24-32 ore). La pasta industriale invece viene fatta essiccare in tempi brevissimi (meno di 4 ore) e a temperature superiori agli 80°C. La differenza si nota facilmente: una pasta industriale essiccata in tempi rapidi appare molto gialla, mentre la pasta artigianale risulta essere più bianca
6) La cottura: la pasta artigianale si cuoce in maniera uniforme ed in tempi generalmente più lunghi rispetto alla pasta industriale. 

Dunque una buona pasta artigianale risulta rugosa al tatto e di colore bianco, è prodotta con grano proveniente da agricoltura biologica e macinato a pietra. E' essiccata a basse temperature per tempi lunghi ed è trafilata al bronzo.

trafilata al bronzo essiccata a basse temperature

Buon appettito di qualità a tutti.
Per approfondimenti: "Adesso Pasta" Di Chiara Spadaro (Altraeconomia Edizioni)

venerdì 27 settembre 2013

Barilla: una multinazionale da boicottare ?

E' venerdì 27 settembre 2013 il giorno in cui scrivo questo post.
Specifico il giorno perchè è proprio in questo giorno che si sono scatenate varie polemiche a seguito di una dichiarazione di Guido Barilla, presidente della omonima multinazionale, a proposito del fatto che Barilla non farà mai pubblicità avente come protagonisti degli omosessuali perchè "Abbiamo una cultura differente. Non farei mai spot per i gay, la nostra è una famiglia tradizionale".


Credo personalmente che tali dichiarazioni siano state piuttosto infelici e molto discutibili.

Ma quel che più mi colpisce è l'effetto che tali dichiarazioni hanno avuto addirittura a livello politico ed anche internazionale, reazioni che sono sfociate in una campagna di boicotaggio dei prodotti Barilla.
Ai produttori concorrenti non è sembrato vero poter sferrare il loro colpo dichiarando totali aperture al mondo gay, ed affermando che la propria pasta è per tutti e non solo per la "famiglia tradizionale". Tra coloro che se ne sono approfittati troviamo anche la Buitoni (A casa Buitoni c'è posto per tutti).



Ora, nonostante mi senta di ripetere che l'uscita del presidente Barilla sia stata un enorme errore di comunicazione, credo che siano ben altri i motivi che debbano far decidere per il boicottaggio o meno di una determinata azienda.
Motivi quali ad esempio lo sfruttamento dei lavoratori, il finanziamento ai partiti allo scopo di ottenere coperture a livello legislativo, l'uso di OGM, il rispetto dell'ambiente e della salute dei consumatori, l'uso o meno di paradisi fiscali, illeciti e frodi, vendite irresponsabili e così via.

A tal proposito vorrei sottolineare come la Barilla abbia fatto ultimamente alcuni passi avanti nei confronti della sostenibilità ambientale, cercando di ridurre il problema dello smaltimento delle confezioni, utilizzando uova di galline allevate a terra e cercando di ridurre i consumi delle risorse.

Vorrei invece far notare come la Buitoni sia uno dei tanti marchi appartenenti alla multinazionale Nestlè, la stessa Nestlè che è stata accusata di politica commerciale irresponsabile ed aggressiva promuovendo la sostituzione del latte materno con il latte in polvere nei paesi in via di sviluppo, una pratica che secondo l'UNICEF è responsabile della morte di più di un milione di bambini l'anno a causa delle difficoltà nella sterilizzazione dell'acqua e dei biberon utilizzati. Vorrei ricordare anche che, volendo rimanere in ambito italiano, meno di un anno fa erano state trovate tracce di carne di cavallo nei ravioli e tortellini di manzo Buitoni, una notizia di cui sembrano essersi già dimenticati tutti.

Credo dunque che si debba andare più in profondità nelle notizie e nella conoscenza prima di decidere se e perchè boicottare determinati prodotti.
E magari pensare anche che si può totalmente evitare di comprare tutti quei prodotti di facile realizzazione casalinga come biscotti e pasta, in modo da avvicinarci finalmente e pienamente ad uno stile di vita ecosostenibile, a chilometro zero e, chissà, forse più felice !

mercoledì 28 agosto 2013

Acqua bene prezioso

Una delle risorse fondamentali del pianeta è l'acqua.


Sappiamo che in molti paesi è carente, e siamo anche consapevoli dei nostri sprechi, ma spesso ignoriamo che alcuni semplici accorgimenti possono aiutarci a utilizzare l'acqua in maniera consapevole senza sprecarla.
Sul sito wellme, c'è un elenco di 20 punti che ci possono aiutare a risparmiare acqua (riducendo inoltre anche le spese della nostra bolletta). Eccone alcuni:

1) Raccogliere in una bacinella l'acqua della doccia che facciamo scorrere per scaldarla (la si può riutillizzare per innaffiare le piante)
2) Chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti o ci si insapona (litri e litri vengono sprecati in questo modo senza che neanche ce ne rendiamo conto)
3) Riutilizzare l'acqua di cottura della pasta
4) Farsi la doccia e non il bagno
5) Lavare i piatti con la lavastoviglie e non a mano
6) Scegliere elettrodomestici a risparmio idrico
7) Raccogliere l'acqua piovana da riutilizzare per le piante

Un consiglio indipendente dal consumo idrico riguarda invece l'acqua potabile. E' assolutamente preferibile bere l'acqua del rubinetto rispetto a quella delle bottiglie. L'acqua del rubinetto viene infatti sottoposta a severi controlli giornalieri che superano la qualità dei controlli delle acque in bottiglia. L'acqua del rubinetto inoltre non presenta alcun problema di smaltimento delle bottiglie, riduce il consumo di CO2 dovuta al trasporto delle bottiglie stesse e riduce il problema degli imballaggi.

lunedì 26 agosto 2013

Canada Orientale - Itinerario di 17 giorni

Questo viaggio alla scoperta del Canada Orientale (Quebec e Ontario) permette di alternare mete cittadine a parchi naturali e prevede anche diversi sistemi di locomozione tra trasporti pubblici e l'affitto di un'auto. Si tratta dunque di un giro mai noioso, in continuo movimento, ma anche con tempi adeguati per esplorare con calma i vari luoghi.

Giorno 1 - Milano - Montreal


Tra le varie soluzioni di volo, è stata scelta quella proposta dalla British Airways che, dopo un primo scalo a Londra, prevede l'atterraggio a Montreal. Esistono altre soluzioni, con altre città di arrivo e, in alcuni casi, voli diretti (da Roma), per cui è possibile adattare il volo in base alle proprie esigenze di viaggio.


Giorno 2 - Montreal


Un intero giorno iniziale a Montreal (Quebec) permette di farsi un'idea della città ed anche dell'atmosfera che si respira in Canada, un paese che sembra essere estremamente civile e ben organizzato, un paese dove la qualità della vita sembra essere molto elevata. Le persone appaiono rilassate, cordiali e gentili. A Montreal ci sono vari quartieri e, il primo giorno, si può visitare la zona del centro storico e quella del quartiere latino.

Montreal
Basilica di Notre Dame nel centro di Montreal
Per uno spuntino consiglio il St Viateur Bagel, un posto dove preparano degli ottimi bagel: il bagel è il pane locale (con la caratteristica forma a ciambella) che viene farcito in vari modi (il più classico con il salmone). Tra i piatti tipici non si può non citare la Poutine, un'abbondante piatto a base di patatine fritte immerse in una salsa al podoro ed a volte arricchite con altri ingredienti (come ad esempio carne)


Giorno 3,4 - Toronto


Il trasporto su gomma in Canada è molto efficiente, motivo per cui, per gli spostamenti tra le grandi città, è facile e conveniente scegliere gli autobus, come ad esempio quelli della compagnia Megabus.
E' consigliabile prenotare con largo anticipo i propri biglietti in modo da trovare offerte competitive. Purtroppo le distanze sono notevoli e, tra Montreal e Toronto, ci sono ben 6 ore di viaggio.
Toronto è una città che appare molto diversa da Montreal. E' in Ontario, quindi si parla in inglese, ed è una città molto più grande di Montreal, con un centro moderno (downtown) caratterizzato da alti grattacieli. Immancabile è la (costosissima) salita alla CN Tower, alta più di 600 metri, dalla quale ammirare il panorama della città.

Toronto
CN Tower

A Toronto non ci sono particolari attrazioni da visitare, ad esclusione della torre, per cui una buona idea può essere quella di farsi un giro in bici, utilizzando il sistema del bike sharing. Sarà così possibile gustarsi l'atmosfera di altri quartieri come ad esempio Little Italy o China Town, o magari fare un giro all'High Park.

Giorno 5 - Niagara's falls


Un giorno intero va dedicato alle celeberrime Cascate del Niagara, al confine tra il Canada e gli stati Uniti, a poche ore di bus da Toronto. Attorno alle cascate ruota un business turistico spaventoso ed ogni anno vengono proposte nuove "attrazioni" (piuttosto costose).
Una buona idea è quella di acquistare un pass per 4 tra le principali attrazioni: la visita ai tunnel dietro la cascata (Journey behind the falls), il filmato in 4D che racconta delle sue origini (Niagara's fury), la passeggiata lungo le rapide (di classe 6, non navigabili) a valle della cascata (White water walk) e la migliore di tutte, un barcone che permette di avvicinarsi alle Cascate ammirandone tutte la potenza e facendosi anche bagnare completamente (vengono fornite delle apposite mantelline) (Maid of the myst).

Cascate del Niagara
Cascate del Niagara
Interessante (ma escluso dal pass) è anche una funivia presente a valle delle cascate che permette di ammirare un bel panorama sulla parte finale delle rapide e sul corso del fiume (Whirpool Aerocar).

Giorno 6 - Montreal


Il sesto giorno, prevedendo un lungo spostamento da Toronto a Montreal, è per lo più dedicato al viaggio. A Montreal infatti si arriva in serata, in tempo per la cena e per una veloce visita al Porto Vecchio, dal quale si possono vedere le strane case di Habitat 67, una zona residenziale molto particolare.

Montreal
Le case di Habitat 67

Giorno 7 - Montreal - Quebec City


Se gli autobus sono di alto livello, le ferrovie canadesi hanno degli standard qualitativi anche maggiori per cui vale la pena di provare l'esperienza del viaggio in treno. Anche in questo caso conviene prenotare con largo anticipo il proprio posto in modo da risparmiare sulla tariffa. Il tragitto Montreal-Quebec City in treno dura circa 3 ore. Una curiosità: sul treno le valigie vengono imbarcate come si prendesse un aereo. In stazione dunque si effettua una sorta di check in.
Giungendo a Quebec City nel pomeriggio, si può subito fare un primo giro per le vie del delizioso centro storico, e magari fermarsi per una crepe presso l'ottimo Casse-Crepe Breton.

Il centro di Quebec City


Giorno 8 - Quebec City


Un'intera giornata a Quebec City permette di scoprirne bene il centro, un vero e proprio gioiellino circoscritto da mura (caso unico nel Nord America) ed ammirare lo Chateau Frontenac, a quanto pare l'albergo più fotografato del mondo.

Quebec City
Lo Chateau Frontenac

Suggerisco però di ritrovare uno spazio di tempo anche per attraversare l'interessante Rue Saint Joseph, fuori dalle mura, con la meravigliosa biblioteca comunale (che permette di apprezzare l'alto grado di civiltà canadese) ed i locali per un caffè o per la cena (ottimo a tal proposito il Patente et Machin)


Giorno 9 - Quebec City - Tadoussac


Spostandosi verso Nord, alla scoperta dei parchi naturali e dei luoghi più remoti del Quebec, non ci si può più affidare ai mezzi pubblici, sempre più rari, ma è necessario affittare un'auto, cercando tra le varie compagnie.
Lasciando Quebec City, dopo pochi chilometri, si avvistano le notevoli cascate di Montmorency. In seguito la strada, man mano, si fa sempre più interessante e segue lungo la costa il fiume St Lawrence che sempre più assomiglia ad un mare andando avanti, visto che in effetti , attraversa un fiordo sempre più largo fino a raggiungere l'Oceano Atlantico.

Nei pressi di Tadoussac

La strada prosegue tra sali e scendi, atraversando caratteristici paesini, fino ad arrivare nella splendida Tadoussac, dove, per la notte, posso suggerire il B & B Auberge la Saint Pax.

Giorno 10 - Tadoussac


Molto turismo ruota attorno alla cittadina di Tadoussac: il motivo è semplice: è qui che ogni anno, nel periodo estivo, un gran numero di cetacei si ritrova attirato dalla estrema pescosità della zona e dalla abbondanza di krill. Esistono quindi varie compagnie (tra cui la AML) che offrono escursioni in barca o su appositi gommoni (zodiac) per l'osservazione di questi splendidi animali. L'escursione sullo Zodiac è certamente quella che consiglio, essendo la più intensa e permettendo incontri veramente ravvicinati con le balene: l'escursione dura circa 3 ore e permette, con un pò di fortuna, di ammirare, oltre alle balene, anche delfini, beluga e foche.

Tadoussac
Whale watching

Oltre alla gita in gommone, a Tadoussac c'è la possibilità di effettuare varie escursioni a piedi. Molto interessante è la zona delle dune di sabbia. Per la cena a Tadoussac consiglio l'ottimo Cafè Boheme.


Giorno 11 - Tadoussac - Sainte-Anne-des-Monts


L'itinerario qui proposto prosegue a questo punto verso Sainte-Anne-des-Monts, non prima però di aver fatto un rapido giro in auto lungo il fiordo del fiume Saguenay, lungo il quale può anche essere interessante fare alcune escursioni a piedi.

Tadoussac
Fiord du Saguenay
Ci si avvia poi verso il Parco nazionale della Gaspèsie, una penisola molto interessante dal punto di vista naturalistico. Qui, lungo il St Lawrence, è ancora possibile avvistare cetacei, ma è anche possibile incontrare mammiferi di terra come l'orso, l'alce ed il caribù. Per arrivare a Sainte-Anne-des-Monts è necessario passare sulla sponda orientale del fiume St Lawrence. Ci sono vari traghetti che consentono il trasbordo. Tra questi le imbarcazioni veloci della compagnia Traversier che effettuano la traversata da Forestville a Rimouski. E' necessario prenotare in anticipo il posto. A Sainte-Anne-des-Monts, suggerisco caldamente di dormire presso il B & B Gìte Sous la Bonne Etoile, gestito dai cordialissimi e simpaticissimi Denis e Veronique, due persone veramente splendide, che accolgono l'ospite e lo aiutano facendolo sentire a casa propria. Da sottolineare il fatto che in questi Gìte, il tavolo per la colazione è unico per tutto gli ospiti, per cui si fa colazione tutti insieme, compresi i padroni di casa, in un'atmosfera veramente amichevole e familiare. Per cena invece consiglio un ottimo ristorante di pesce, la Poissonnerie Restaurant du Quai.

Giorno 12,13 - St Anne de Monts


Due giorni a Sainte-Anne-des-Monts permettono di visitare i due parchi nazionali della Gaspèsie, ossia il Parco Nazionale del Forillon, sulla punta orientale della penisola, a 230 km da Sainte-Anne-des-Monts ed il Parco nazionale della Gaspèsie, a pochi km da Sainte-Anne-des-Monts.

Gaspesie
Forillon National Park
In entrambi i parchi è possibile effettuare escursioni di ogni grado di difficoltà, avendo in tal modo l'opportunità di ammirare una natura vasta ed incontaminata ricca di specie marine e di terra. I parchi nazionali sono estremamente organizzati. Si paga una piccola quota d'ingresso, ci sono delle strutture ricettive di orientamento e, volendo, si può partecipare ad escursioni organizzate dai parchi stessi e riportate su calendari.

Giorno 14 - Sainte-Anne-des-Monts - La Malbaie


A questo punto il viaggio volge al termine e, per spezzare in due il lungo tragitto fino a Montreal, è possibile fare una tappa intermedia a La Malbaie, una tranquilla cittadina sulla sponda occidentale del fiume St Lawrence. Poichè la Gaspèsie si trova invece sul lato orientale, è necessario nuovamente servirsi di un traghetto. Un'alternativa al traghetto dell'andata è quello che parte da Rivier du Loup e che arriva a St Simeon, della compagnia Traverse. In questo caso non si può prenotare per cui è necessario farsi trovare all'imbarco con un certo anticipo. Da notare che in questo tratto di fiume è possibile avvistare i beluga.

Beluga
A La Malbaie, tra le varie strutture ricettive, c'è quella gayfriendly gestita da Ive e Miguel: Auberge Le Petit Felix, estremamente pulita e dalla colazione abbondantissima. Tra i vari locali per cena invece consiglio il Cafè Chez Nous.


Giorno 15 - La Malbaie - Montreal


Presso la Malbaie c'è un altro parco naturale di interesse, il Parc des Hautes Georges de Riviere Malbaie.

Parc des Hautes Georges de Riviere Malbaie

Dopo una breve escursione nel parco, è necessario affrontare circa 5-6 ore di auto per raggiungere finalmente Montreal in serata, dove si potrà restituire l'auto presa in affitto.

Giorno 16,17 - Montreal


A Montreal ci sono vari luoghi di interesse che possono essere esplorati in base ai propri gusti personali.
Tra questi La Ronde, un parco divertimenti pieno di montagne russe di ogni genere, il parco Jean Drapeau, un giardino botanico, Il Biodome e la Biosfera., oltre alle altre attrazioni e quartieri di cui si è gia parlato precedentemente.

La Ronde
Montagne russe nel Parco La Ronde

Per ammirare dall'alto il panorama della città si può invece salire sul Mont Royal, con ottima vista sulla downtown. Infine si può fare un giro di shopping nella downtown stessa, magari facendo visita alla città sotterranea: si tratta di una città nella città, tutta costruita sottoterra per permettere ai canadesi di uscire anche in pieno inverno con temperature gelide e condizioni metereologiche estreme.
Finisce così questo itinerario canadese con il volo di ritorno su Milano (con scalo a Londra) o con una delle altre possibili opzioni di viaggio scelte.




























venerdì 23 agosto 2013

Biscotti tipo Gocciole (con gocce di cioccolato)

Ingredienti


Farina di grano tenero di tipo 0 o 00:  400 gr
Burro:                                                200 gr
Zucchero:                                          150 gr
Uova:                                                 2
Lievito vanigliato:                                1 bustina
Gocce di cioccolato

Procedimento

- Disporre la farina a fontana
- Nel centro mescolare tutti gli ingredienti (tranne le gocciole)
- Impastare fino ad ottenere una pasta omogenea
- Ricoprire con la pellicola trasparente e mettere in frigo per 30 minuti
- Aggiungere le gocce di cioccolato nell'impasto, stendere la pasta e ricavare i biscotti con degli stampini
- Infornare a 180°C per 12 minuti

Biscotti con gocce di cioccolato
Biscotti con gocce di cioccolato


sabato 27 luglio 2013

The Hammarby Model - seconda parte



Mi ricollego oggi ad un vecchio post che scrissi riguardo un quartiere di Stoccolma, Hammarby Sjöstad, per approfondire l'argomento in compagnia di Marco Felisa, un amico che ha scritto alcuni appunti su Stoccolma in generale e che ha dedicato alcune pagine in particolare proprio a questo quartiere ecosostenibile. Buona lettura !

L’esplorazione della Stoccolma sostenibile non può che iniziare da Hammarby Sjöstad, il pezzo di città che ha fatto vincere alla capitale svedese il primo Premio Europeo per le Città Verdi nel 2010.
Hammarby Sjöstad si raggiunge con un traghetto particolare, il Lisen, che attraversa l’Hammarbyleden, spinto da motori elettrici alimentati da pannelli solari. Solo d’inverno vengono accesi i motori diesel.
Sjöstad, città sull'acqua, è un grande quartiere con 22.000 residenti e 10.000 lavoratori, costruito al posto di vecchie fabbriche abbandonate; recuperare l’area è stata una doppia sfida, la bonifica dei terreni inquinati era complessa e costosa e la costruzione di nuovi edifici poteva “pesare” troppo sull’ambiente; la cura rischiava di essere peggiore del male! L’area è stata trattata con estrema attenzione e gli edifici sono stati studiati per risparmiare energia, per essere serviti dai trasporti pubblici e riutilizzare i rifiuti.
Hammarby Sjöstad accoglie i visitatori con palazzi moderni, giardini e piazze pedonali; gli edifici hanno pareti in legno e balconate che ricordano i ponti delle navi, sui terrazzi ci sono sedie di tela e, ovviamente, persone che prendono il sole. Passeggiare è piacevole, sembra di poter andare dovunque senza incontrare barriere, tutto è accessibile, le rive dei canali, le piazze, i ponti. Le case hanno accesso diretto all’acqua e agli approdi, come se i 22.000 residenti fossero altrettanti piccoli navigatori.
Infilandosi tra gli isolati si può scoprire, dietro ai palazzi, un altro canale e un grande spazio verde, pieno di bimbi che giocano. C’è un’area botanica con aiole di fiori colorati e, vicino alla Lungnets Allè, una grande piazza con zampilli e giochi d’acqua. Sulla piazza c’è anche un Café och Konditori dove servono una buonissima gräddtårta, torta alla crema con lamponi e mirtilli.

Hammarby Sjöstad è attraversata dalla Tvärbanan, moderna tramvia di 11 chilometri che corre nel sud della capitale collegando Hammarby con Alvik. Il tratto di Hammarby è stato realizzato a spese delle immobiliari che hanno costruito il quartiere e le fermate sono studiate in modo che nessuno debba percorrere più di 300 metri per raggiungere il tram; i progettisti volevano che l'80% dei residenti potesse usare la Tvärbanan.
Le vetture sono luminose, comode ed eleganti; corrono veloci e indifferenti al traffico grazie a un dispositivo che dà loro la precedenza ai semafori; le poche auto si fermano al sopraggiungere del tram. È un modo intelligente ed economico per far correre un tram come se fosse una metropolitana.
Da Sickla Udde si può tornare a piedi lungo la riva orientale del Sicklakanal, che si presenta come un canale selvatico, naturale; non ci sono moli né barche, né passeggiate ai piedi delle case. Gli edifici sono un po’ più distanti dall’acqua e ci sono canneti, ninfee e zone paludose. I percorsi pedonali sono leggeri, passerelle e pontili, con passamano di corda sospesi sopra i canneti. Nei canneti si nascondono animali che non disturbiamo col nostro passaggio.
In perfetto stile rete verde-blu, il Sicklakanal è un corridoio della rete ecologica locale e consente agli animali di trovare rifugi e passaggi in questa parte del quartiere, proteggendoli dalle attività degli uomini. Grazie a questo corridoio la foresta di Alta, alle spalle del quartiere, è collegata con le acque dell’Årstakanal e gli animali non incontrano ostacoli nei loro vagabondaggi tra periferia e centro.
In fondo al canale, proprio di fronte a Södermalm, uno stretto pontile che sembra un trampolino olimpico, conduce a un punto particolare, l’Observatorium. Tutto in legno non trattato, l’Observatorium è una gradonata panoramica sull'acqua dove riposare e prendere il sole; l’assenza di parapetti e l’acqua pulitissima, sembrano un invito a tuffarsi a fare un bagno!


Durante una pausa all’Observatorium una riflessione sul tema dell’acqua è obbligatoria. La struttura è una palafitta tonda con un buco nel mezzo, dal quale si può vedere e ci si può tuffare in acqua; le rive del canale sono belle ma diverse, una piena di moli e motoscafi, l’altra naturale con canneti e piante acquatiche. Sono diverse interpretazioni del rapporto tra città e acqua, esempi di come Stoccolma sia sposata con questo importante elemento naturale.
A Stoccolma l'acqua è buona e abbondante e i cittadini fanno di tutto per rispettarla, consumarne poca e per non inquinarla. Anche Hammarby Sjöstad è molto attento all’acqua, anche perché l’acqua è dappertutto, intorno alle case, nei giardini e nelle piazze e nei parchi.
Quando piove, l’acqua non viene scaricata nei canali, viene trattenuta e depurata dagli inquinanti, dagli oli e dalla sporcizia delle strade; dopo un primo passaggio, viene immessa nei laghi artificiali dove le piante acquatiche la depurano ancora, in modo naturale. Una parte dell’acqua piovana viene anche conservata e utilizzata per l'irrigazione e per l'impianto antincendio.
L'acqua dei canali viene usata per regolare la temperatura degli edifici, d’inverno è più calda dell’aria e d’estate è più fresca, quindi entra nel sistema di riscaldamento e di condizionamento per far risparmiare energia.
Anche gli scarichi dell’acqua sono differenziati, i lavandini buttano l’acqua in cisterne per poterla riutilizzare per l’irrigazione, dopo aver filtrato i saponi. Dagli scarichi si recupera anche calore, i tubi di uscita passano dentro quelli d’entrata e, se scaricano acqua tiepida, riscaldano quella che entra.
Non si butta l’acqua calda, lo scarico della doccia può contribuire a scaldare l’acqua che entra nel rubinetto della doccia e si risparmia sulla bolletta!
Insomma, l’acqua viene rispettata e quando viene usata, viene usata bene; si recupera e se ne recupera anche il calore; a Stoccolma i tombini non fumano come a New York, l’acqua delle fognature non ha calore da buttare!


Hammarby Sjöstad consuma la metà di un quartiere normale e produce la metà dell'energia di cui ha bisogno. Gli abitanti, quindi, pagano una bolletta 4 volte più bassa di tutti gli altri residenti a Stoccolma! Com’è possibile?
Il quartiere è studiato per consumare il meno possibile, gli edifici sono progettati per catturare luce e sole e resistere al vento e, ovviamente sono costruiti con materiali isolanti, per evitare di disperdere il calore.
Il caldo e il freddo disponibili in natura sono sfruttati fino in fondo, grazie a celle e pannelli solari e pale eoliche; il calore degli scarichi viene recuperato, l’acqua dei canali è usata per lo scambio termico. Riscaldamento e condizionamento vengono prodotti da un’unica centrale ad altissima efficienza che alimenta oltre 20.000 appartamenti.
Anche la spazzatura è usata per risparmiare energia, viene aspirata da un sistema pneumatico che la trasporta direttamente alla centrale di raccolta, senza bisogno di camion o cassonetti. Plastica, vetro, carta e metallo vengono rivenduti, il residuo viene bruciato per produrre elettricità e calore, la frazione organica, cioè gli avanzi di cibo, viene fatta fermentare per produrre biogas che torna in città per essere utilizzato negli appartamenti per cucinare. Dagli avanzi di cibo si ricava gas per cucinare altro cibo!
Il biogas serve anche il deposito degli autobus, dove i cittadini che possono fare il pieno di gas alle loro auto. L’impianto del biogas è più grande di quanto serva a Hammarby e la società che lo gestisce compra avanzi di cibo anche in altre parti della città per produrre e vendere più gas.
Vista “l'esperienza rifiuti” di Hammarby, un grande ospedale, il Karolinska Institut, ha deciso di costruire un impianto per produrre biogas con gli avanzi di cibo dell’ospedale, dell’università e del campus; con quel gas alimenta le proprie cucine e l'impianto di riscaldamento, risparmiando un bel po’ di quattrini e riducendo l’impatto sull’ambiente.

Anche ad Hammarby Sjöstad i cambiamenti climatici fanno sentire i loro effetti, gli inverni sono più miti, le estati più calde e le mezze stagioni molto più instabili, con temporali e acquazzoni più violenti.
Fedeli al proverbio svedese “non esiste il cattivo tempo, esiste solo il cattivo equipaggiamento”, architetti e urbanisti hanno messo tra le variabili da tenere in considerazione quella dei cambiamenti che il clima sta subendo.
È necessario innanzitutto fare un attento monitoraggio e “prepararsi al peggio” o comunque a un tempo diverso. Per gli acquazzoni, il sistema di raccolta delle piogge è stato sovradimensionato e i depuratori hanno ampie vasche di accumulo che evitano lo straripamento delle ondate di piena.
Quando piove, l’acqua viene trattenuta dai tetti verdi, scaricata in vasche e cisterne sotterranee e inviata ai depuratori solo quando il sistema d’accumulo è pieno. I laghi, i canali e gli specchi d’acqua dei parchi servono anche per accumulare acqua piovana e la vegetazione è studiata per contribuire alla depurazione naturale delle piogge.
Affrontare i cambiamenti climatici significa anche affrontare le bolle di calore tipiche delle città in estate e l’abbondante presenza di acqua e di verde, i tetti e le pareti verdi riescono a spezzare la distesa di cemento che si scalda meno.
Per non sovraccaricare gli impianti di condizionamento quando l’estate è più calda, soprattutto se il quartiere vuol risparmiare energia. Gli scambiatori dei condizionatori usano l’acqua dei canali, più fresca, mentre intorno alle bocche di aspirazione dell’aria sono state piantati alberi e cespugli che abbassano la temperatura dell’aria prima che entri negli impianti. Consumano meno e quindi possono far fronte a possibili sovraccarichi.
La GlashusEtt, casa trasparente, è il luogo dove vengono accolti i visitatori ed è anche un centro documentazione e istituto di ricerca sulla sostenibilità.
Alla GlashusEtt sono raccolti progetti, libri e materiali informativi su come costruire città sostenibili e c’è anche una grande sala multimediale dove il caso Sjöstad viene presentato. Da qualche anno il distretto è diventato una meta turistica vera e propria, visitato da gente comune ma anche da architetti, pianificatori e tecnici che vogliono approfondire i temi del loro lavoro. Oltre alle informazioni su questa parte di città, ci sono anche notizie e documenti su altri esempi, una raccolta di “come costruire bene le città”, un patrimonio di conoscenze utile agli studiosi e ai progettisti.
La GlashusEtt non è solo una biblioteca, serve anche per promuovere Sjostad, attirando investimenti sull’area, ai quali vengono proposte opportunità di sviluppo e aiuto concreto per ottenere finanziamenti tramite (LIP Local Investment Program) da spendere in questa parte di città. Si tratta quindi di una vera e propria agenzia di sviluppo e promozione del territorio e di accompagnamento alle imprese.
Un poster illustra il modello Hammarby, il collegamento tra i vari pezzi del quartiere che ottimizza la sostenibilità e evita sprechi, legando rifiuti ed energia, trasporti e riscaldamento. Alla base del modello c’è il concetto di visione olistica dei problemi e delle strategie per individuare le soluzioni, basate sulla cooperazione tra soggetti. Costruttori, futuri residenti e pianificatori hanno lavorato insieme valutando tutte le possibilità di sviluppare tecnologie innovative per raggiungere obiettivi ambiziosi.
Il raggiungimento di obiettivi ambiziosi è possibile solo col coinvolgimento di tutti gli interessati e l’informazione è alla base del coinvolgimento. Scopo della GlashusEtt è quindi anche diffondere consapevolezza.

Se la pubblicità è l’anima del commercio, per vendere sostenibilità è meglio pubblicizzarla? A Stoccolma pensano proprio di sì. La comunicazione ambientale è un punto di forza delle politiche per la sostenibilità, costruita con un mix di pubblicità, informazione e forse anche tentato plagio, cioè indirizzo dei “consumatori” in una precisa direzione: la sostenibilità. Il cittadino informato si comporta meglio di quello ignorante e il cittadino cosciente è più attivo e si comporta in modo più responsabile; contribuisce a raggiungere gli obiettivi.

Gli scettici possono obiettare che la comunicazione ambientale deborda nella demagogia e temono che il cittadino bombardato di pubblicità sia meno libero di scegliere. Vero, ma è comunque opportuno fare comunicazione ambientale, raccontare le buone pratiche, far sapere, passo-passo, come va la sfida alla riduzione dell’emissione di CO2 o al risparmio energetico.
La pubblica amministrazione dà il buon esempio e i privati la seguono, SL ci scrive sulla fiancata degli autobus «Alimentato a biogas, riduce l’emissioni di CO2 dell’85%», Ikea ha contatori che informano su quanta energia sta consumando, specificando quanta viene da fonti rinnovabili e quanta viene acquistata dalla rete. Ci sono messaggi ovunque, «Prendi solo i tovaglioli che ti servono» nei ristoranti, «Sali a piedi, non è faticoso» davanti agli ascensori; anche i prodotti di consumo contengono informazioni green sul tipo di energia utilizzata dalle fabbriche o sul mezzo di trasporto che li ha portati ai negozi e, alla fine del ciclo, sulla riciclabilità dei diversi “avanzi”.
Il confine tra informazione e pubblicità è labile, ma se gli oggetti “da vendere” sono la sostenibilità e il rispetto dell’ambiente, perché non pubblicizzarli?

La costruzione del quartiere non è ancora conclusa e già si fanno bilanci sui risultati raggiunti e sui possibili miglioramenti. Già perché la GlashusEtt misura e pubblica dati per capire e per spiegare come stanno andando le cose.
Il monitoraggio analizza quattro temi principali, l’emissione inquinante, l’emissione di CO2, la produzione di rifiuti, i consumi di energia non rinnovabile; per ogni tema vengono studiati più parametri e si ricercano le cause che portano ai risultati, buoni o cattivi. Siccome non tutte le aree di Hammarby sono uguali, i dati vengono analizzati isolato per isolato, così da poter confrontare l’efficacia delle diverse tecnologie, piuttosto che l’influenza dei fattori esterni, come il verde o l’acqua.
Ci sono quindi isolati che consumano meno perché meglio esposti, altri che incidono meno sull’emissione di CO2 da traffico perché meglio serviti dalla Tvärbanan o dal traghetto.
La grande quantità di dati rilevati serve ovviamente anche agli studiosi che possono valutare la bontà dell’esperienza scientificamente per essere in grado di riprodurre ciò che funziona bene e utilizzare le soluzioni più azzeccate.
Il report, annuale, viene pubblicato anche in una versione divulgativa distribuita tra i residenti, anche con il malcelato proposito di innescare competizioni virtuose tra gli abitanti, che vedendosi confrontati coi vicini possono essere incentivati a fare meglio per la sostenibilità.
Non c’è da stupirsi quindi se nelle piazze o nei viali si trovano totem che ci dicono quanta energia stanno producendo in quel momento i pannelli fotovoltaici di Sickla Kaj o di Lugnet, o quanta acqua stanno consumando i residenti di Sickla o di Proppen; è un modo come un altro di diffondere consapevolezza sui consumi e sull’efficacia delle scelte per la sostenibilità. Ed è anche un riconoscimento “misurato e certificato” degli sforzi che i cittadini compiono per migliorare la sostenibilità della loro parte di città.